Complessa la successione del conto corrente
Tra le situazioni giuridiche che si trasmettono con la morte, vi sono quelle derivanti da conto corrente, così come ogni altro diritto di natura patrimoniale farà parte dell’asse ereditario.
Ci si chiede chi può incassare le somme depositate sul conto corrente del de cuius quando gli eredi sono più di uno e che cosa succede al momento della morte se il conto, quando era in vita l’ereditando, era già cointestato con qualcuno.
È da precisare che sono esclusi dalla presente analisi i casi di successione testamentaria in cui il saldo del conto viene attribuito a un erede/legatario specificamente individuato. Nei casi di successione legittima o testamentaria con pluralità di eredi in quota, invece, il problema di individuare chi e come possa richiedere alla banca il saldo attivo si pone.
Le variabili da considerare, tra loro alternative, sono quella del conto corrente intestato in vita al solo de cuius (c.d. conto monointestato) e del conto cointestato in vita con altri (c.d. conto cointestato).
Il primo caso (pluralità di successori nel conto c.d. corrente monointestato) costituisce sicuramente una fattispecie molto frequente. Sul piano interpretativo, la possibile soluzione ha dato vita a diverse ricostruzioni.
La prima (Cass. nn. 5100/2006 e 12128/2002), è quella per cui all’apertura della successione si verifica l’automatica divisione non solo dei debiti ereditari, ma anche dei crediti. Questo è previsto legislativamente soltanto per i primi (art. 754 c.c.), ma viene ritenuto un principio estensibile anche ai crediti. In altre parole, si verifica una simmetria tra il regime dei debiti e quello dei crediti: entrambi si dividono ipso iure al momento dell’apertura della successione senza necessità di passare per la divisione ereditaria. In base a questa tesi, il singolo erede può pretendere dalla banca la sua quota.La seconda ricostruzione (Cass. nn. 640/2000 e 19062/2006) ritiene, per contro, che la regola ipso iure dividuntur (art. 754 c.c.) valga soltanto per i debiti ereditari, mentre lo stesso non possa dirsi per i crediti, i quali, conseguentemente, sarebbero da considerare inclusi nella comunione ereditaria. Per i crediti, diversamente dai debiti, non esiste una norma come l’art. 754 c.c., anzi l’art. 727 c.c. sembra postulare proprio la legittimazione in capo all’erede solo dopo la divisione.
In base a questa tesi, il singolo erede può chiedere alla banca soltanto la sua quota e previo scioglimento della comunione ereditaria con la divisione. Prima di tale momento, la banca può legittimare liquidare il saldo attivo del c/c solo previa richiesta da parte di tutti i coeredi insieme.
La terza tesi è quella oggi prevalente (Cass. n. 27417/2017, Cass. SS.UU. n. 24657/2007; Collegio di coordinamento ABF n. 27252 del 20 dicembre 2018). Secondo questa tesi, i crediti ereditari cadono in comunione ereditaria, non si dividono automaticamente al momento dell’apertura della successione, ma è richiesta la previa divisione ereditaria. La Corte, tuttavia, distingue tra titolarità sostanziale e legittimazione alla riscossione, giungendo ad affermare il principio per cui “ciascun soggetto partecipante alla comunione può esercitare singolarmente le azioni a vantaggio della cosa comune” anche senza necessità degli altri partecipanti, così come nel caso in cui la divisione non sia ancora intervenuta.
In base a quest’impostazione, quindi, il singolo coerede è legittimato a richiedere l’intero saldo attivo alla banca, oltre che, a maggior ragione, la propria quota di spettanza. In questo caso, l’intermediario risulta liberato, sia nell’ipotesi in cui paghi al singolo la propria quota, sia in quella in cui paghi l’intero. In quest’ultima situazione, poi, i coeredi dovranno regolare le loro reciproche posizioni in sede di divisione.
La seconda fattispecie da esaminare (pluralità di successori nel conto corrente cointestato in vita con altri) è sicuramente la più spinosa e foriera di problematiche, in quanto si intreccia con la modalità di gestione del conto che può essere disgiunta oppure congiunta.
La forma di gestione “disgiunta” è quella prevista di default dalla prassi bancaria (cfr. circolare ABI del 15 febbraio 2005). In tal caso, la forma disgiunta rimane in capo al correntista superstite, mentre l’attuazione diventa congiunta per gli eredi. Ciò significa che il titolare superstite, salvo opposizione degli eredi, potrà disporre della propria quota, mentre gli eredi potranno ottenere la liquidazione delle somme soltanto con il consenso di tutti.
In mancanza di una regolamentazione contrattuale, con l’ordinanza della Cassazione 20 novembre 2017 n. 27417 è stata prevista la possibilità della riscossione da parte di un coerede di tutto o parte del credito stesso.
In caso di gestione con firma congiunta, il rapporto con la banca prosegue nella forma sempre congiunta, sia con riguardo ai titolari superstiti del conto, sia con riguardo agli eredi, questo in virtù dell’interpretazione analogica della norma sul mandato collettivo di cui all’art. 1726 c.c.
Quanto sopra opera, naturalmente, al netto dei divieti previsti per la banca dall’art. 48 del DLgs. 346/90, legati alla presentazione della dichiarazione di successione.